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Immagini dal Myanmar Nel 2004 un viaggio in Birmania o Myanmar, come si chiama oggi, iniziava sempre con una domanda: non andare a causa della dittatura militare, oppure andare perché è l’unico modo per venire a contatto con questo popolo meraviglioso, perché l’arrivo dei turisti promuove la circolazione delle informazioni e sottrae il paese dall’isolamento… Ovviamente abbiamo deciso di partire… L’aereo proveniente da Milano si sta avvicinando ad Yangon sorvolando a bassa quota la pianura che circonda la città e qualcosa di irreale appare già ai nostri occhi: si vedono solo capanne di bambù, le strade sono righe di terra rossa ed ovunque ci sono pagode con il tetto dorato. Quando si apre il portellone dell’aereo veniamo accolti dagli operatori dell’aeroporto rigorosamente con le ciabatte infradito e lunga gonna anche per gli uomini chiamata Sarong. Ad Yangon ci rendiamo subito conto che qui il tempo sembra essersi fermato, non c’è nulla di quello che caratterizza le moderne città occidentali, tutto ha il sapore di antico, di surreale. La cosa che più impressiona il visitatore è ovviamente la pagoda Shwedagon. Entriamo nelle zona religiosa a piedi nudi e qui ci appaiono giovani monache rasate e vestite di rosa, monaci più anziani vestiti di amaranto e gente comune che prega con riti a noi del tutto inusuali: usando bastoncini di incenso, versando acqua dentro a fontane ..ma tutto qui ha un fascino mistico ed irreale. Intanto il sole tramonta velocemente rendendo i riflessi dorati della grande pagoda ancora più intensi. Il viaggio continua verso la piana di Bagan dove il fascino della storia avvolge il visitatore. Salendo scalzi le gradinate di un tempio, all’ora del tramonto è possibile spaziare con lo sguardo fra migliaia di pagode color terracotta che si infuocano al calare del sole. In Birmania vi sono innumerevoli meraviglie storiche ed architettoniche attorno alle quali c’è la vita della gente comune: contadini con bufali dalle lunghe corna, artigiani che lavorano la lacca, l’argento e le lamine d’oro usate per i sacrifici religiosi. Vi sono tessitrici di seta che utilizzano arcaici telai in legno, venditori al mercato seduti su sacchi di riso, vicino a ceste di verdura dai colori sgargianti, alla carne esposta su logore tavole di legno, vi sono i fabbricanti di carte fiorite utilizzate anche per creare variopinti ombrellini…Giunti a Mandalay visitiamo il monastero Mahagandayon, dove è possibile vedere i monaci nella loro semplice vita quotidiana fatta di gesti tramandati da generazioni. All’ora del pranzo essi si allineano in una lunghissima fila per ricevere il pasto giornaliero. Poco distante vi è l’U Bein Bridge, il lunghissimo ponte pedonale in tek un poco scricchiolante utilizzato dagli abitanti delle due sponde del fiume e da improvvisati pittori che contrattano le loro opere con i turisti. Mandalay è il posto in cui veniamo a contatto con il fiume Irrawaddy, lungo 2000 km, linfa vitale per i birmani che lo utilizzano per i trasporti, per l’irrigazione, per abbeverare il bestiame, lavare i panni ed anche per lavare se stessi. Il lago Inle invece è un luogo in cui la pace e la quiete regnano sovrane. Il lago, poco profondo, ha permesso di sviluppare un tipo di pesca con delle reti molto particolari fatte a forma di cesto rovesciato. Anche il modo di remare con l’aiuto della gamba è veramente particolare. Tutto attorno i villaggi di palafitte, dove i bimbi vanno a scuola in canoa e le famiglie si lavano nei canali. Qui finiamo nel mezzo di un variopinto mercato galleggiante, visitiamo una scuola piena di bimbi con divise bianche e verdi e le guance ricoperte di thanaka, una crema biancastra ottenuta macinando radici. Questa crema serve anche per impedire al sole di bruciare la pelle. Si consideri che in Birmania la pelle chiara è considerato sinonimo di bellezza. Il nostro viaggio si conclude all’aeroporto di Yangon, con tanta tristezza lasciamo questo meraviglioso paese dove abbiamo lasciato una parte del nostro cuore.
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Le immagini sono di proprietà esclusiva di 125f11.com
by Stefano Gazzoli.
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